Antichi baluardi raccontano ben otto secoli di incursioni e saccheggi. Rimaneggiato e trasformato nel corso dei secoli, da torre difensiva a castello e poi a dimora dei signori, il Palazzo Pappacoda è il luogo narrativo di Pisciotta ed attorno ad esso si susseguono ed intersecano storie di feudatari, governatori, vescovi e gente comune. Della roccaforte si hanno le prime notizie storiche nel 1200. Tuttavia, probabilmente, la costruzione è antecedente e si colloca in quel particolare periodo in cui le coste cilentane subirono numerosi attacchi da parte dei pirati saraceni ed i feudatari fecero costruire fortezze, torri e castelli per la difesa ed il controllo dei territori. Nel nostro e’ possibile riconoscere il primo nucleo, forse una torre, guardando attentamente all’angolo nord-ovest. Con l’avvento dei normanni – chiamati sul territorio proprio per contrastare i saraceni – l’ordinamento sociale e giuridico cambiò, acquisendo le caratteristiche dei feudi Nord europei. La difesa del territorio era affidata ad un sistema di fortificazioni e alle torri di avvistamento e sulla costa sorsero diversi villaggi e paesi. Tra longobardi, normanni e svevi, il Castello ospitò famiglie importanti della corte siciliana e napoletana. Troviamo quindi i nobili Caracciolo (1270), i Sanseverino (nel 1400), i Pappacoda (1590), alcune delle famiglie (tra le più potenti del regno) ad avere avuto il possesso del feudo e del Castello, che assunse sempre più le caratteristiche di Palazzo. L’importanza del feudo trova riscontro nel fatto che la maggior parte dei signori visse per lunghi periodi a Pisciotta, partecipando e dando impulso alle attività economiche locali. Sono gli ultimi feudatari, i Pappacoda, che, fin dall’elevazione a marchesato del feudo, iniziarono ad apportare modifiche e ad abbellire il palazzo, che divenne, a tutti gli effetti, dimora gentilizia. Il ruolo del nostro castello, quale fortificazione difensiva, è ribadito in una cronoca del 1640, che riferisce di un assalto piratesco all’abitato di Pisciotta, respinto per il provvidenziale intervento di un gruppo di uomini capeggiati da un fuorilegge, che per quest’azione fu perdonato dal Re. Durante il dominio dei Pappacoda il palazzo non esaurì la funzione di centro della vita amministrativa e giudiziaria del feudo, né la caratteristica di baluardo del territorio e riparo dalle circostanze avverse. Il 3 agosto 1809 circa mille briganti si apprestarono ad attaccare Pisciotta dopo aver intimato, inutilmente, la resa ai suoi abitanti. Furono però costretti a ritirarsi per le gravissime perdite subite, dopo aver tenuto sotto assedio il paese per 5 giorni. Sempre con i Pappacoda, a cui Pisciotta ha dato i natali ad intere generazioni, il palazzo fu sede, oltre che della loro abitazione e dei servizi (magazzini, trappeti, stalle), anche degli Uffici Giudiziari della “Marchesal Corte” e del carcere. Con l’abolizione del feudalesimo il Palazzo rimase in proprietà agli eredi del principe Doria, sposo di Giovanna Pappacoda. E con i Doria l’edificio conobbe il suo massimo splendore architettonico. Alla spartizione dell’eredità i beni della famiglia furono venduti, così come il Palazzo Marchesale che, piano piano, venne diviso tra privati. Oggi, alla comunità pisciottana, restano i superbi locali della Biblioteca comunale, all’ultimo piano. L’invito è percorrere, lentamente, la grande scala aperta e ammirare le spalle del paese, così come soffermarsi alle finestre ed ai balconi sospesi sul nostro mare...magari calati nei panni del nobile signore o di un comune cittadino che nel Palazzo hanno trovato asilo e protezione.